Asociación para el estudio de temas grupales, psicosociales e institucionales

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L. Montecchi: I gruppi operativi nelle istituzioni pubbliche (italiano)


Gruppi Operativi nelle Istituzioni pubbliche 

Leonardo Montecchi  


Ci troviamo qui, oggi, per interrogarci su questo tema e lavorare assieme in vista del congresso internazionale di Madrid  del febbraio 2006 sull’ Attualità dei gruppi operativi.
Ciò significa che questo momento è una tappa del percorso  di analisi dello stato attuale dei gruppi operativi.
Ma, questa giornata, non è ,per quanto mi riguarda “senza memoria e senza desiderio” non so cosa vi sia successo quando avete ricevuto l’invito ma posso facilmente immaginare che si sia aperto un varco nello stato di coscienza quotidiano, nella routine,e attraverso quella porta siano  apparse “le ricordanze”, :

quel caro immaginar mio primo

che hanno attualizzato passioni sopite,antichi vincoli, fantasie e curiosità. Questo terreno nostalgico è molto scivoloso,siamo esposti al rischio del reducismo.
Non è questo il nostro compito. Si, è emozionante ritrovarsi, vedere come il tempo ci ha cambiato, ascoltare i racconti delle nostre vite, comunicarci le esperienze ma oggi non è l’incontro dei vecchi compagni di studio.
Il compito ci convoca per analizzare  il passaggio dei gruppi operativi nelle istituzioni pubbliche.
Qui in Italia sono più di venticinque anni che si fa formazione in diverse forme e che si fanno interventi preventivi e clinici tuttavia, secondo me è scarsa la nostra presenza nelle istituzioni pubbliche.
Credo che questo sia avvenuto per alcuni motivi che vorrei discutere assieme a voi:

Il primo motivo, credo il più importante è l’assenza della Concezione Operativa di Gruppo dalle Università. Queste istituzioni pubbliche rimangono impermeabili al pensiero operativo. Possiamo dire che anche la psicoanalisi non se la passa bene, ma io sono convinto che il  nostro modello pedagogico metta radicalmente in discussione il modello di trasmissione del sapere dell’Università.
Si dirà che l’Università ha già tanti problemi con la ricerca  con il personale docente con l’autonomia con i finanziamenti da parte dello stato che non ha interesse ad aggiungerne un altro che riguarda la didattica.
Eppure, l’apprendimento in gruppo che tutti noi abbiamo sperimentato, è una forma innovativa di trasmissione del sapere in cui l’allievo non è passivizzato ma costruisce attivamente le proprie conoscenze lavorando assieme agli altri sulla informazione ed arricchendola di aspetti affettivi e cognitivi.
Questo modello di apprendimento è l’essenza  del movimento studentesco del 1968 e cioè il superamento della trasmissione autoritaria del sapere in cui il discorso Universitario è il discorso che impone il significato a prescindere (come direbbe Totò) dal sapere.
Nel modello autoritario il potere si disgiunge dal sapere, nel nostro modello il sapere si costruisce attraverso l’elaborazione collettiva dell’informazione che si incrementa in ogni passaggio per questo il potere non è concentrato dalla “ Parola” del docente ma è distribuito nei diversi ruoli del gruppo.

Ogni ruolo ha parte del potere e costituisce, per così dire, un nodo della rete vincolare che facendo circolare l’informazione produce conoscenza e sapere distribuito.
Nessuno in un gruppo operativo può privatizzare il sapere. Quel sapere funziona se le parti si collegano fra loro secondo quei modi di vincolarsi specifici che noi chiamiamo ECRO. Cioè schemi concettuali di riferimento e operativi.

Questo modello è evidentemente eversivo  per una Istituzione, come l’Università che si è assunta chiaramente il compito di formare figure che applichino delle conoscenze tecniche in situazioni predefinite senza pensare troppo.
Anzi, il libero pensiero sembra essere un disturbo dell’apprendimento, un ostacolo epistemologico alla fabbricazione di “tecnici addetti alla macchina”.
La macchina è una concatenazione di parti mentali, biologiche e fisiche e ingloba anche i tecnici che la manovrano senza pensare se produce liberazione od oppressione.
Così ad esempio la formazione dello psichiatra sta diventando un addestramento all’uso della macchina classificatoria DSMIV.
Il gruppo operativo, invece produce uno spazio comune, uno spazio per pensare per questo motivo  credo che non sia entrato delle università.
Tutti i tentativi, che io ricordo, sono stati inserimenti transitori del nostro dispositivo, non c’è stata una cattedra che abbia cominciato a funzionare con il nostro modello pedagogico.
Sono convinto che ,permettetemi la metafora bellica, lo sfondamento di questo fronte sia la chiave della nostra strategia attuale

Perché faccio questa affermazione?

Perché è ormai  matura nel senso comune  dei funzionari delle istituzioni pubbliche: ASl, Comuni, Scuole ecc  la necessità del lavoro di gruppo  all’interno  delle  diverse forme di organizzazione del lavoro.
Molti di noi, in questi anni, hanno dovuto confrontarsi con i processi di razionalizzazione del lavoro che vengono diversamente chiamati: accreditamento, certificazione, autorizzazione al funzionamento.
Questi processi avanzano come i carri armati nella piazza di Tien Anmen, ma, a volte, trovano degli omini che si piazzano davanti e cercano di fermarli provando a fare pensare il “tecnico addetto alla macchina”.
Di solito arriva un tecnico che spiega che ci deve essere una risposta standard ad una domanda, che non ci può essere una enorme variabilità che il cliente che va in un biscottificio non può comprare un giorno un biscotto bruciato un altro giorno uno poco cotto ma deve comprarli tutti cotti a puntino
Queste ovvietà vengono accompagnate da un modo di organizzazione del lavoro che viene presentato come “neutro” ma che in realtà segue una psicologia sociale ben determinata che spesso il “tecnico” non conosce.

Queste psicologie sociali sono diverse dalla psicologia sociale analitica per un punto fondamentale: il ruolo della soggettività.
Ad esempio ambedue le psicologie parlano di gruppo solo che il gruppo delle psicologie
Sociali non analitiche è un gruppo oggetto, secondo la celebre definizione di Guattari e
Non è nemmeno pensabile un gruppo soggetto.
Nel senso comune attuale della burocrazia, come dicevo, il gruppo richiamato in tutti i documenti in realtà è un gruppo oggetto, cioè un insieme di individui indicati in un protocollo di funzionamento che devono operare in sinergia secondo le regole prestabilite.
Più che un gruppo sembra un relè della prima cibernetica.
In questa dimensione prevalgono le esigenze di controllo, il gruppo, così definito è altamente prevedibile ed è eterodiretto dal protocollo, non sono previsti esseri umani ma solo “droidi protocollari” tipo C1P8.
L’importante distinzione di Bauleo fra esperienza di gruppo e concetto di gruppo ci permette di evidenziare chiaramente come il tipo di gruppo che prima descrivevo non appartenga all’esperienza di gruppi che ciascuno ha effettuato ma ad un concetto cui non corrisponde una esperienza, un concetto a priori che crea un gruppo privo di intelligenza perché gli impedisce di apprendere dall’esperienza.
Quindi, se si parla così tanto dei gruppi nelle istituzioni pubbliche in questo momento storico,è forse perché la frantumazione dei vincoli sociali dovuta ai processi di globalizzazione ha fatto emergere la figura di un individuo che non è più nemmeno un atomo, la monade senza porte e finestre di Leibniz , ma una particella, un elettrone con una traiettoria imprevedibile che viene accellerato in un grande contenitore come una Istituzione in cui però non c’è più nulla di pubblico ossia non c’è più uno spazio ed un tempo comune.
Questa condizione è molto ben evidenziata nel film Elefant di Gus Van Sant.
Dunque molti propongono il gruppo e chiamano formatori o supervisori dando la priorità al sapere universitario.
Qui dobbiamo combattere la nostra battaglia per  chiarire il concetto di gruppo e per ribaltare l’egemonia che ha su questo concetto nelle Istituzioni pubbliche la psicologia sociale accademica non analitica.
Per questo voglio proporre delle linee di controffensiva per una battaglia culturale.
Penso che dobbiamo ricordare che ogni gruppo ha un aspetto manifesto ed uno latente.
L’esistenza del latente è fondamentale, ad oltre cento anni dalla interpretazione dei sogni non possiamo accettare chi ci propone la stupidità di una realtà ad una sola dimensione.
Noi, in oltre, sappiamo che un gruppo si convoca su di uno o più compiti che costituiscono gli oggetti astratti del lavoro gruppale. Il compito è l’aspetto operativo ed è il piano della creazione, il punto in cui convergono fantasie ed emozioni, concetti ed affetti per mescolarsi come in una atanor alchemico.
Non c’è gruppo senza compito.
Così come non possiamo parlare di gruppi senza pensare al vincolo, a questo legame affettivo e cognitivo a più vie le cui molteplici forme ci permettono di diagnosticare situazioni gruppali differenti.
A volte si sente parlare di gruppi nelle istituzioni pubbliche dal punto di vista esclusivamente manifesto, come se non agissero nella situazione presente vecchi vincoli con antichi leader,perdite non elaborate, illusioni che hanno perso l’avvenire.
Che tristezza.
Altro punto di appoggio per la leva della nostra controffensiva è il coordinatore.
Chiarire che il coordinatore non è il leader del gruppo è decisivo, il coordinatore non è l’imperatore dei significati è una funzione ed esercitare quella funzione non significa essere il padrone del gruppo.
Se un coordinatore pensa “questo è il mio gruppo” bisogna interpretare il suo controtransfert.
 Il gruppo non è proprietà privata.
Il coordinatore o meglio il vertice della coordinazione è il piano del gruppo in cui si vedono e sentono gli emergenti ed è il piano da cui questi emergenti si interpretano per il gruppo.
Un gruppo che abbia molta formazione può riuscire ad autogestire l’interpretazione degli emergenti che dal piano latente fuoriescono sul piano manifesto.
Non è facile ma per la nostra concezione è possibile.
 E possibile un gruppo operativo autogestito.
Gli emergenti non sono solamente verbali, possono essere silenzi, comportamenti,sedie vuote, porte che sbattono,colpi di tosse, starnuti, borborigmi.
L’emergente è un segno che può assumere un significato nel processo di lavoro che il gruppo fa affrontando il compito.
Non è un significato prefissato. Non c’è il codice canonico della interpretazione degli emergenti. L’emergente si interpreta ed acquista significato nella relazione vincolare di una situazione gruppale definita dal particolare momento del lavoro sul compito.
Il coordinatore interpreta un po’ alla Vasco:

“Voglio dare un senso a questa situazione anche se questa situazione un senso non ce l’ha”

Ma è nel gruppo che si costruisce il senso della situazione, il coordinatore fa solo delle ipotesi e per questo usa il verbo al tempo  condizionale mai all’indicativo.
Il compito del coordinatore non è “scoprire le verità nascoste” ma aprire il pensiero del gruppo per rimuovere gli ostacoli che impediscono il lavoro sul compito.

Tutti questi elementi richiamano un altro concetto fondamentale: il setting. Spesso si parla di gruppo senza parlare di setting.
Per noi non si può parlare di gruppo se non si parla di una situazione in cui si sono fissate alcune variabili e cioè il tempo lo spazio i ruoli o le funzioni e il compito.

Credo che questi punti siano argomenti validi per una polemica scientifico-culturale che segni una offensiva  della concezione operativa di gruppo e della psicologia sociale analitica nelle istituzioni pubbliche.
Torno a dire che secondo me questa offensiva deve portare allo sfondamento del fronte universitario, perché questo avvenga abbiamo bisogno di evidenziare anche la provincialità della editoria specializzata in italia che traduce immediatamente qualsiasi ricerchina di un sperduta Università del Texas e non accetta traduzioni dal mondo latino.
Dobbiamo spezzare questo stupido colonialismo culturale organizzando una collana di testi classici dei gruppi operativi.
So già le obiezioni a questo discorso che provengono dallo stato ordinario di coscienza, dal mondo della vita quotidiana,dalla routine allora vorrei provare a fare entrare nel varco aperto dalla convocazione di oggi non solo le rimembranze di Giacomo Leopardi ma anche le visioni di Dino Campana che arriva a Buenos Aires dal mare

E vidi come cavalle
Vertiginose che si scioglievano le dune
Verso la prateria senza fine
Deserta senza le case umane
E noi volgemmo fuggendo le dune che apparve
Su un mare giallo della portentosa dovizia del fiume,
del continente nuovo la capitale marina.
Limpido fresco ed elettrico era il lume
Della sera e la le alte case parevan deserte
Laggiù sul mare del pirata
De la città abbandonata
Tra il mare giallo e le dune.

(Viaggio a Montevideo)

 

* Ponencia presentada en el Acto Pre-congresual (al Congreso Internacional “Actualidad del Grupo Operativo” celebrado en Madrid, febrero 2006) que tuvo lugar en Rimini, Italia, el 15 de octubre de 2005.

 ** Leonardo Montecchi es psiquiatra y director del Centro Studi e Ricerche “José Bleger”. Italia


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